
Se
Non
Son
Dol
ci
Son
A
mare
Se
Non
Son
Dol
ci
Son
A
mare
Caro duemilaventi
Sei appena terminato
Coi tuoi distanziamenti
Verrai certo ricordato
Delle autocertificazioni
Poi non ne parliamo
Decine di emozioni
Che ancora qui stampiamo
Vuoi sapere un segreto
Che non è cosa poca
L’attesa del decreto
Era da pelle d’oca
Ed io so che per tutti
Sei l’anno peggiore
Di malattie e lutti
Sei stato produttore
Ma con una punta egoista
Non ti posso proprio odiare
Hai donato alla mia vista
Un paesaggino d’ammirare
Quello che ti succede
Sarà l’anno del vaccino
Da iniziare col giusto piede
Se no è un gran casino
L’augurio è che ognuno
Sarà un po’ migliorato
Compreso il ‘ventuno
L’anno più desiderato
Insonni
ciucci
si fanno
scettro
Le mani
culla
I nasi
specchio
Fame
di latte
Fame
di notte
Fame
di lotte
Fame
e poppata
Fame
e dormita
Fame
di vita
Rinchiudersi nella propria casa per reagire alla paura. Sembra, in questo periodo di pandemia, solo la descrizione della cronaca quotidiana o il sunto di una delle ormai note raccomandazioni della scienza. In realtà è anche una delle possibili sintesi di Memorie del sottosuolo[1], opera letteraria di Fedor Dostoevskij, scrittore russo morto centotrentanove anni fa e risorto nella mia biblioteca da qualche mese. La clausura che si autoimpone il protagonista del romanzo non si realizza però in una semplice casa ma in un sottosuolo: fisico, con il suo ambiente fetido, umido e muffoso dove ci si rifugia come topi per distanziarsi dalla realtà sovrastante; psicologico e dell’anima, per reagire alla paura di rimanere ingabbiati nei dogmi della scienza. L’uomo del sottosuolo sente, infatti, il peso della propria esistenza che non può esaurirsi in mere formule scientifiche. La clausura che stiamo vivendo in questa fase è diversa da quella immaginata dallo scrittore russo: non è autoimposta come forma di ribellione al pensiero dominante ma è imposta proprio dal pensiero dominante, imposizione giusta che mira alla protezione ed alla sopravvivenza. Il nostro sottosuolo, poi, è un’esperienza collettiva, a conferma di una comune sorte che ci unisce. E la consapevolezza di tale sorte comune è utile ad evitare il contagio del virus ed a rendere meno amare le giornate di restrizione ma è soprattutto la precondizione per rendere possibile “il contagio della solidarietà tra di noi”[2]. Occorre tenerlo a mente, in questa fase ed in quella in cui torneremo alla luce.
[1] Memorie del sottosuolo – tradotto anche col titolo Memorie dal sottosuolo o Ricordi dal sottosuolo (in russo: Записки из подполья, Zapiski iz podpol´ja) – è un romanzo del 1864. Il libro è diviso in due parti: la prima è intitolata “Il sottosuolo”, la seconda “A proposito della neve bagnata”.
[2] Dal videomessaggio del Presidente della Repubblica Italiana per la Pasqua trasmesso in data 11 aprile 2020.
Gelide onde
s’irradiano
all’intorno
Noi qui
in fermento
Di chiarore
tentenna
delirante
attesa