Senza scomodare il vocabolario della lingua italiana, la definizione che mi pare calzante per la parola “speranza” è quella di “fiducia nel futuro”. Di regola, però, la fiducia si fonda sulla conoscenza di ciò su cui viene riposta, mentre riporre fiducia su ciò che non si conosce appare più un atto di fede. Ma il futuro non è un’entità ultraterrena, anzi di continuo si fa terreno, giusto il tempo di essere calpestato dal presente prima di sfaldarsi nel passato. Se prima di questo momento i piedi sono ben saldi sulla terra si potrà allora meglio percepire lo sfaldamento e la percezione si farà memoria: il futuro rimarrà ignoto ma potremo almeno delinearne la prospettiva. “Basta avere una memoria ed una prospettiva”[1] dunque: il problema è che la prospettiva del futuro, a differenza di quella di Giotto, non è facile da trovare, soprattutto se la speranza, anziché coltivarla, “ce la fumiamo come canapa”[2]. Bisogna tornare a coltivare quindi – la speranza, non la canapa – preparandosi, prendendosi del tempo, e, con la terra sotto i piedi, “spargendo sementi, speranza e concime”[3].
[1] Tratto da “A prescindere da me”, in “Tradizione e tradimento”, 2019, N. Fabi.
[2] Tratto da “Giotto Beat”, in “Museica”, 2014, Caparezza.
[3] Tratto da “Concime”, in “La terra sotto i piedi”, 2019, D. Silvestri.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...